Omero nel Baltico e 3600. - La nuova umanità

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Omero nel Baltico e 3600.

Ben Boux



Omero nel Baltico e 3600.



Succede abbastanza di frequente  che grandi scoperte siano fatte da "dilettanti", cioè da studiosi che sono occupati come lavoro in qualche loro diversa attività, ma che si mettono a coltivare altri interessi e, così facendo, osservano l' oggetto della loro ricerca da un punto di vista non tradizionale, libero da preconcetti od obblighi.

Chi si occupa di scienza deve invece, nel mondo di oggi, mantenersi il più possibile vicino alle posizioni ufficiali, per ottenere borse di studio, per la possibilità di pubblicare, ecc, in definitiva le idee nuove vengono guardate con sospetto, proprio perché vengono a disturbare un ordine costituto.

Felice Vinci, di professione ingegnere nucleare, è un caso di questi. Ha studiato a fondo i poemi omerici ed è arrivato ad una sorprendente conclusione: che i luoghi in cui si sono svolte le vicende raccontate non è la Grecia, ma il Baltico. E l' epoca in cui i fatti si sono svolti è molto lontana nel tempo.

La sua teoria è certamente molto più attendibile della tradizionale collocazione che è stata fatta, ma questa collocazione è molto inadeguata, e nemmeno la scoperta di una città antica "Troia" in Turchia ha potuto portare a delle certezze. Tutt' altro, anzi, anche in tempi antichi c' era chi era perplesso per le spiegazioni ufficiali.

Nell' appendice 1 è riportata le relazione del Vinci.

Estratto: - Già gli studiosi dell’antichità avevano notato che la geografia omerica presentava enormi incongruenze rispetto alla realtà del mondo greco-mediterraneo. Ma la geografia omerica è stata motivo di perplessità anche in tempi molto più recenti, allorché la decifrazione della scrittura micenea, la cosiddetta "lineare B", graffita sulle tavolette provenienti da Cnosso, Pilo e a Micene, ha permesso di confrontare il mondo di cui esse erano espressione con la realtà descritta nei due poemi. Ne è emersa, come rileva il prof. Moses Finley, "la completa mancanza di contatto tra la geografia micenea come ora la conosciamo dalle tavolette e dall’archeologia, da una parte, ed i racconti omerici dall’altra".

La recente scoperta del cosiddetto "disco di Nebra" ( un villaggio situato 50 km ad ovest di Lipsia, nella Germania orientale) e delle spade, di tipo miceneo, ritrovate nello stesso sito, porta una ulteriore prova a sostegno della tesi del Vinci.

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Il disco di Nebra è un manufatto in bronzo datato al 1600 a.C., circolare ( diametro 32 cm ) con riportati sole, luna e stelle ( tra cui si distinguono le sette Pleiadi ). Esso è il perfetto pendant dei versi del XVIII libro dell’Iliade in cui Omero illustra le decorazioni astronomiche fatte dal dio fabbro Efesto sullo strato in bronzo posto al centro dello scudo di Achille: "Vi fece la terra, il cielo e il mare,/ l’ infaticabile sole e la luna piena,/ e tutti quanti i segni che incoronano il cielo,/ le Pleiadi, le Iadi, la forza d’Orione/ e l’Orsa...". I reperti di Nebra insomma mostrano lo stretto
rapporto, per così dire "triangolare", che, attraverso l’ archeologia, si può stabilire tra il mondo nordico della prima età del bronzo, quello miceneo ( le spade ) e quello omerico ( lo scudo ).


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Supponendo che la tacca sul bordo alle 2:00 simboleggi la direzione di Orione, il raggruppamento di 7 stelle sono le Pleiadi, le 7 sorelle e il Grande Carro è rappresentato alle 08:00, questo disco mostra come le costellazioni sarebbero raggruppate attorno al Sole il 25 marzo 1600 AC, completa del quarto di luna. Questo è vero per la Germania, il paese di origine, o di Summeria / Iraq, l' antico Paese che si presume avesse questa conoscenza.

Ho una unica riserva su quanto viene presentato nell' appendice, il riferimento a Stonehenge, sulla cui origine, per quanto riguarda esclusivamente i monoliti, nutro dei dubbi.

La circostanza con cui viene confutata questa teoria è il clima. E quale ragione avevano quei popoli per migrare sino in Grecia?


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Dai racconti omerici il clima di allora non era certo quello attuale, e, nello stesso tempo, soltanto un brusco e profondo cambiamento climatico può spingere un intero popolo, o buona parte di esso, a cercare lande più favorevoli, abbandonando tutto ciò che aveva costruito a casa.

Una parte della popolazione si è adattata ed ha poi dato origine alla civiltà dei Vichinghi, e agli altri popoli di quella zona, forse la parte di popolazione che aveva una maggiore confidenza e conoscenza del mare, mentre quelle interne hanno abbandonato i loro siti portandosi dietro i racconti tramandati oralmente, che poi Omero ha raccolto nella saga dell' Iliade e dell' Odissea. Non sappiamo con certezza se Omero fosse una persona o se ci fosse stato un gruppo di persone ad aver assemblato, per così dire, i poemi.

Ma è indubbio che la descrizione dei luoghi e dei tempi non corrisponde in alcun modo alla Grecia e alle isole attorno.

Quello che intendo mettere in evidenza, è che il pianeta ha subito un evento catastrofico nel periodo di tempo collocato circa nel 1600 AC. e che questo evento ha avuto enormi ripercussioni su tutte le civiltà del pianeta. Non solo, la Terra ha subito una serie di tali eventi, ogni 3600 anni circa, tra cui il mitico "diluvio universale" che non è per nulla mitico, come gli archeologi cominciano ora ad ammettere.

Vi sono numerose scoperte recenti che danno credito a questi dati, qui ci limiteremo a presentarne alcune.

I mammut.


Wikipedia: - La maggior parte dei mammut si estinse alla fine del Pleistocene. Fanno eccezione i mammut nani dell'isola di Wrangel, che si estinsero solo intorno al 1500 a.C. Una spiegazione condivisa per la loro estinzione non è ancora stata raggiunta. Le principali spiegazioni si rifanno a ragioni climatiche o alla eccessiva caccia da parte dell'uomo; il dibattito è tuttora aperto.


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Ecco che un evento occorso nel 1500 AC, ma potrebbe essere benissimo il 1600 AC. data la estrema difficoltà di datare quei periodi con precisione, ha sconvolto l' habitat di quei mammiferi, in modo così repentino da congelarli con ancora il cibo in bocca e nello stomaco. E' evidente che l' area della Russia interna, ora gelata, aveva, prima di tale evento, un clima temperato, che permetteva, se non altro, all' erba di crescere abbondante.

Un evento in grado di raffreddare in poco tempo, giorni, una area così estesa? Evidentemente sì.

La civiltà minoica.


Da wikipedia: - Civiltà minoica è il nome dato alla culturacretese dell'età del bronzo, fiorita approssimativamente dal 1700 a.C. al 1450 a.C. (successivamente, la cultura micenea greca divenne dominante nei siti minoici dell'isola di Creta).

Teorie sulla fine della civiltà minoica.

La cosiddetta eruzione minoica sull'isola di Thera ( attualmente Santorini distante circa 100 km da Creta ) avvenne durante il periodo del TM IA. Questa eruzione fu una delle più grandi esplosioni vulcaniche mai accadute nella storia della civiltà, emettendo approssimativamente 60 km³ di materiale, con un indice di esplosività vulcanica pari a 6.[51][52][53] L' eruzione devastò il vicino insediamento minoico di Akrotiri su Santorini, che venne sepolto sotto uno strato di pomice.[54] È stato suggerito inoltre che l' eruzione e i suoi effetti sulla civiltà minoica desse origine al mito di Atlantide, attraverso i resoconti storici egiziani.


Si è inoltre creduto che l' eruzione colpì fortemente la cultura minoica di Creta, sebbene l' estensione dell'impatto sia ancora dibattuta. Le prime teorie proposero che la caduta di cenere provenienti da Thera, su metà della Creta orientale, venisse a soffocarne la vegetazione, causando così la fame nella popolazione locale.[55] Tuttavia, dopo molti più esami sul campo, questa teoria ha perduto credibilità, poiché venne determinato che ad ogni modo non più di 5 mm di cenere cadde su Creta.[56] Studi recenti, basati sull' evidenza archeologica trovata a Creta, indicano che un immenso tsunami, generato dall'eruzione di Thera, devastò le aree costiere di Creta distruggendone molti degli insediamenti minoici.[57][58][59].[60][61].....

.....Resti significativi minoici sono stati trovati negli stati di cenere della Thera del tardo minoico, implicando che l'eruzione di Thera non avesse causato l'immediata crollo della civiltà dei minoici. I minoici erano una potenza marinara e dipendevano in modo considerevole dalla loro flotta navale mercantile per la loro sussistenza; l'eruzione di Thera causò perciò significative privazioni economiche......


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Non c' è bisogno di aggiungere altro. Nel periodo che coincide con il 1600 AC, sono avvenuti degli eventi catastrofici in contemporanea, l' eruzione del vulcano Thera e uno gigantesco tsunami. Tali da spegnere quasi del tutto questa fiorente civiltà che prosperava, ne risulta da quanto detto prima, al posto dei greci, che non erano ancora migrati dal nord.

Mar Nero, ecco il villaggio sommerso dal Grande Diluvio.

Nell' appendice 2.

ROMA - Una spedizione sottomarina guidata da Robert Ballard, lo scopritore del relitto del Titanic, ha annunciato oggi di aver individuato nel Mar Nero, a 91 metri di profondità, i resti di un insediamento umano risalente a 7.500 anni fa. Secondo gli archeologi, si tratta della prima, importantissima conferma che quello che ora è un fondale marino un tempo ospitava fattore e villaggi, sommersi di colpo da una gigantesca inondazione che sarebbe all' origine del racconto biblico del Diluvio Universale.


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"Mar Nero, ecco il villaggio sommerso dal Grande Diluvio. A 91 metri di profondità tracce di un insediamento di 7500 anni fa."


"E' una scoperta incredibile", ha detto Ballard, il cui battello da ricerca, il Northern Horizon, sta operando a circa 12 miglia dalla costa turca. "I manufatti del sito sono chiaramente ben conservati, ci sono travi, rami e utensili di pietra lungo tutta la matrice di fango della struttura".

L'area del sito, di forma rettangolare, per una lunghezza di 4 metri e una larghezza quasi doppia, è stata individuata da "Little Hercules", il robot subacqueo della spedizione, la mattina del nove settembre, vicino ad una valletta marina. Attraverso gli schermi collocati a bordo della nave, gli scienziati hanno visto apparire le rovine di un edificio fatto di canne impastate con fango ed argilla.


Non ritengo tuttavia che questo ritrovamento sia una prova del "diluvio universale", perché altre scoperte tendono a spostare la data di quell' evento più in là nel tempo, forse a 11.000 o a 15.000 anni fa. Tuttavia la data stimata dell' evento, 7500 anni or sono è praticamente il doppio di quei 3600 anni che abbiano visto prima, e dimostra una ciclicità di eventi disastrosi.

Nella figura sono presentati vari ritrovamenti sottomarini di chiara origine artificiale. Le datazioni sono varie, ad esempio la strana forma circolare in alto a destra è stata datata a circa 15.000 anni. La sua immersione corrisponde quindi al ciclo presentato sopra. Gli altri ritrovamenti sono avvenuti in varie parti del pianeta, Baltico, Cuba, Giappone, Bermuda, ecc. Da notare lo scheletro di un gigante, che darebbe concretezza al ciclope dell' Odissea.

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In conclusione, vi voglio assicurare che il ciclo di 3600 anni si è interrotto e non ci sarà alcun pericolo per noi, ne parlerò più a fondo in prossimi articoli.

Ben Boux.


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Appendice 1


Omero nel Baltico
,  di Felice Vinci

Sin dai tempi antichi la geografia omerica ha dato adito a problemi e perplessità: la coincidenza tra le città, le regioni, le isole descritte, spesso con dovizia di dettagli, nell'Iliade e nell'Odissea ed i luoghi reali del mondo mediterraneo, con cui una tradizione millenaria le ha sempre identificate, è spesso parziale, approssimativa e problematica, quando non dà luogo ad evidenti contraddizioni: ne troviamo vari esempi in Strabone, il quale tra l'altro si domanda perché mai l'isola di Faro, ubicata proprio davanti al porto di Alessandria, da Omero venga invece inspiegabilmente collocata ad una giornata di navigazione dall'Egitto. Così l'ubicazione di Itaca, data dall'Odissea in termini molto puntuali – secondo Omero è la più occidentale di un arcipelago che comprende tre isole maggiori: Dulichio, Same e Zacinto – non trova alcuna corrispondenza nella realtà geografica dell'omonima isola nel mar Ionio, ubicata a nord di Zacinto, ad est di Cefalonia e a sud di Leucade. E che dire del Peloponneso, descritto come una pianura in entrambi i poemi?

Una possibile chiave per penetrare finalmente in questa singolare realtà geografica ce la fornisce Plutarco, il quale in una sua opera, il De facie quae in orbe lunae apparet, fa un'affermazione sorprendente: l'isola Ogigia, dove la dea Calipso trattenne a lungo Ulisse prima di consentirgli il ritorno ad Itaca, è situata nell'Atlantico del nord, "a cinque giorni di navigazione dalla Britannia". Partendo da tale indicazione e seguendo la rotta verso est, indicata nel V libro dell'Odissea, percorsa da Ulisse dopo la sua partenza dall'isola (identificabile con una delle Faroer, tra le quali si riscontra un nome curiosamente "grecheggiante": Mykines), si riesce subito a localizzare la terra dei Feaci, la Scheria, sulla costa meridionale della Norvegia, in un'area in cui abbondano i reperti dell'età del bronzo (ed anche graffiti rupestri raffiguranti navi: in effetti Omero chiama i Feaci “famosi navigatori”, ma di essi non è stata mai trovata nessuna traccia nel Mediterraneo). Qui, al momento dell’approdo di Ulisse, si verifica un fatto apparentemente incomprensibile: il fiume (dove il giorno successivo il nostro eroe incontrerà Nausicaa) ad un certo punto inverte il senso della corrente ed accoglie il naufrago all’interno della sua foce. Tale fenomeno, rarissimo nel Mediterraneo, è invece comune nel mondo atlantico, dove l’alta marea produce la periodica inversione del flusso negli estuari. Riguardo poi al nome stesso della Scheria, osserviamo che nell'antica lingua nordica "skerja" significava "scoglio".

Da qui, con un viaggio relativamente breve il nostro eroe fu poi accompagnato ad Itaca, situata, secondo Omero, all'estremità occidentale di un arcipelago su cui il poeta ci fornisce molti particolari, estremamente coerenti fra loro ma totalmente incongruenti con le Isole Ionie: ora, una serie di precisi riscontri consente di individuare nel Baltico meridionale un gruppo di isole danesi, l’arcipelago del Sud Fionia, che vi corrisponde in ogni dettaglio. Le principali infatti sono proprio tre: Langeland (l'"Isola Lunga": ecco svelato l'enigma della misteriosa Dulichio), Ærø (la Same omerica, anch'essa collocata esattamente secondo le indicazioni dell'Odissea) e Tåsinge (l'antica Zacinto). L'ultima isola dell'arcipelago verso occidente, "là, verso la notte", ora chiamata Lyø, è proprio l'Itaca di Ulisse: essa coincide in modo stupefacente con le indicazioni del poeta, non solo per la posizione, ma anche per le caratteristiche topografiche e morfologiche (invece l’Itaca greca non ha nulla a che vedere con le indicazioni dell’Odissea). E nel gruppo si ritrova persino l'isoletta, "nello stretto fra Itaca e Same", dove i pretendenti si appostarono per tendere l'agguato a Telemaco.

Inoltre, ad oriente di Itaca e davanti a Dulichio giaceva una delle regioni del Peloponneso, che a questo punto si identifica facilmente con la grande isola danese di Sjælland (dove adesso sorge Copenaghen): ecco la vera "Isola di Pelope", nell'autentico significato del termine. Il Peloponneso greco invece, situato in posizione corrispondente nell'Egeo, malgrado la sua denominazione non è un'isola: questa contraddizione, inspiegabile se non si ammette una trasposizione di nomi, è molto significativa. Ma c'è di più: sia i particolari, riportati dall'Odissea, del rapido viaggio in cocchio di Telemaco da Pilo a Lacedemone lungo una "pianura ferace di grano", sia gli sviluppi della guerricciola tra Pili ed Epei raccontata da Nestore nell'XI libro dell'Iliade, da sempre considerati incongruenti con la tormentata orografia della Grecia, si inseriscono perfettamente nella realtà della pianeggiante isola danese.

Va notato che in tutto il mondo non esiste un gruppo di isole che corrisponda alle indicazioni omeriche altrettanto bene quanto queste isole della Danimarca (e men che meno nel Mediterraneo).

Cerchiamo ora la regione di Troia. L'Iliade la situa lungo l'Ellesponto, sistematicamente descritto come un mare "largo" o addirittura "sconfinato"; è pertanto da escludere che possa trattarsi dello Stretto dei Dardanelli, davanti a cui si trova la collina di Hissarlik con la città trovata nell’Ottocento da Schliemann, la cui identificazione con la Troia omerica continua a suscitare fortissime perplessità (pensiamo alla critica che ne ha fatto Moses Finley nel suo Il mondo di Odisseo). Inoltre, una serie di indagini geologiche recentemente condotte nella pianura ai piedi della collina ha mostrato che nel II millennio a.C. essa era ricoperta da un vasto braccio di mare, del tutto inconciliabile con le descrizioni omeriche.

Ora, lo storico medioevale danese Saxo Grammaticus nelle sue Gesta Danorum menziona in più occasioni un singolare popolo di "Ellespontini", nemici dei Danesi, e un "Ellesponto" curiosamente situato nell'area del Baltico orientale: che si tratti dell'Ellesponto omerico? Esso potrebbe identificarsi con il Golfo di Finlandia, il corrispondente geografico dei Dardanelli; poiché d'altra parte Troia, secondo l'Iliade, era ubicata a nord-est del mare (altro punto a sfavore del sito di Schliemann), per la nostra ricerca è ragionevole orientarci verso un'area della Finlandia meridionale, là dove il Golfo di Finlandia sbocca nel Baltico. E proprio qui, in una zona circoscritta ad occidente di Helsinki, s'incontrano numerosissime località i cui nomi ricordano in modo impressionante quelli dell'Iliade, ed in particolare gli alleati dei Troiani: Askainen (Ascanio), Reso (Reso), Karjaa (Carii), Nästi (Naste, capo dei Carii), Lyökki (Lici), Tenala (Tenedo), Kiila (Cilla), Kiikoinen (Ciconi) e tanti altri. Vi è anche una Padva, che richiama la nostra Padova, la quale secondo la tradizione venne fondata dal troiano Antenore (i Veneti, chiamati “Enetoi” nell’Iliade ed enumerati fra gli alleati dei Troiani, nella Germania di Tacito sono menzionati accanto ai Finni,); inoltre, nella stessa area della Finlandia meridionale, i toponimi Tanttala e Sipilä – sul monte Sipilo fu sepolto il mitico Tantalo, famoso per il celebre supplizio nonché re della Lidia, una regione confinante con la Troade – indicano che il discorso non è circoscritto alla sola geografia omerica, ma sembra estendersi all'intero mondo della mitologia greca.

E Troia? Proprio al centro della zona così individuata, in una località, a mezza strada fra Helsinki e Turku, le cui caratteristiche corrispondono esattamente a quelle tramandateci da Omero – l'area collinosa che domina la vallata con i due fiumi, la pianura che scende verso la costa, le alture alle spalle – scopriamo che la città di Priamo è sopravvissuta al saccheggio e all'incendio da parte degli Achei ed ha conservato il proprio nome quasi invariato sino ai nostri giorni: Toija, così si chiama attualmente, è ora un pacifico villaggio finlandese, rimasto per millenni ignaro del proprio glorioso e tragico passato. Varie visite in loco, a partire dall'11 luglio 1992, hanno confermato le straordinarie corrispondenze delle descrizioni dell'Iliade con il territorio attorno a Toija, dove per di più si riscontrano molti tumuli preistorici ed altre notevoli tracce dell'età del bronzo. E’ poi stupefacente che, in direzione del mare, il nome della località di Aijala ricordi tuttora la "spiaggia" ("aigialòs") dove gli Achei avevano tratto in secca le loro navi (Il. XIV, 34).

Le corrispondenze geografiche si estendono anche alle aree adiacenti: sulla costa svedese antistante, 70 chilometri a nord di Stoccolma, si affaccia la baia di Norrtälje, lunga e relativamente stretta, le cui caratteristiche rimandano alla Aulide omerica, da dove mosse la flotta achea diretta a Troia; attualmente dalla sua estremità partono i traghetti per la Finlandia, ricalcando la stessa rotta: essi transitano davanti all'isola Lemland, il cui nome ricorda l'antica Lemno, dove gli Achei fecero tappa e abbandonarono l'eroe Filottete; a sua volta, la vicina Åland, la maggiore dell'omonimo arcipelago, probabilmente coincide con Samotracia, mitica sede dei misteri della metallurgia. L'attiguo Golfo di Botnia a questo punto è facilmente identificabile con l'omerico Mar Tracio; e, riguardo alla Tracia, che il poeta colloca al di là del mare rispetto a Troia, in direzione nord-ovest, essa giaceva lungo la costa della Svezia centro-settentrionale e nel suo entroterra (ed è singolare che nei miti nordici il dio Thor sia il signore di una regione chiamata “Trakja”). Più a sud, oltre il Golfo di Finlandia, la posizione dell'isola Hiiumaa, situata dirimpetto alla costa dell'Estonia, corrisponde esattamente a quella dell'omerica Chio, che l'Odissea pone sulla rotta del rientro in patria della flotta achea dopo la guerra.

Insomma, oltre alle caratteristiche morfologiche del territorio, anche la collocazione geografica di questa Troade finnica "calza a pennello" con le indicazioni della mitologia; e così si spiega finalmente perché sui combattenti nella pianura di Troia cali spesso una "fitta nebbia" ed il mare di Ulisse non sia mai quello splendente delle isole greche, ma appaia sempre "livido" e "brumoso": nel mondo cantato da Omero si avvertono le asprezze tipiche dei climi nordici. Dovunque vi si riscontra una meteorologia tutt'altro che mediterranea, con nebbia, vento, freddo, pioggia, neve – quest'ultima anche in pianura e perfino sul mare – mentre il sole, e soprattutto il caldo, sono quasi sempre assenti: in quello che, secondo la tradizione, dovrebbe essere un torrido bassopiano dell'Anatolia, il tempo è quasi sempre inclemente, al punto che i combattenti, ricoperti di bronzo, arrivano ad invocare il sereno durante la battaglia! Addirittura, nel rievocare un episodio della guerra di Troia, Ulisse racconta che sotto le mura della città "la notte era scesa cattiva, ché Borea soffiava/ e gelata. Poi sopraggiunse la neve, come una brina spessa,/ gelida: intorno agli scudi s'incrostava il ghiaccio" (Od. XIV, 475-477). Ma anche nell’Itaca omerica il tempo è freddo e perturbato e non splende mai il sole: eppure le vicende dell’Odissea sono ambientate durante la stagione della navigazione. D'altronde, a tale contesto è perfettamente adeguato l'abbigliamento dei personaggi omerici, tunica e "folto mantello", che non lasciano mai, neppure durante i banchetti: esso trova un preciso riscontro nei resti di abiti ritrovati nelle antiche tombe danesi.

Questa collocazione così settentrionale consente altresì di spiegare la macroscopica anomalia della grande battaglia che occupa i libri centrali dell'Iliade, con due mezzogiorni (XI, 86; XVI, 777) intercalati da una “notte funesta” (XVI, 567), la quale però non interrompe i combattimenti. La prosecuzione notturna della battaglia è incomprensibile nel mondo mediterraneo, mentre si spiega subito con la localizzazione nordica: è infatti il chiarore notturno, tipico delle alte latitudini nei giorni attorno al solstizio estivo, che consente alle truppe fresche guidate da Patroclo di continuare a combattere ininterrottamente fino al giorno dopo. A ciò si aggiunge la concomitanza dell’ondata di piena dei due fiumi di Troia, lo Scamandro e il Simoenta, nella battaglia del giorno successivo, in cui lo stesso Achille rischia di annegare: ciò è in accordo con i regimi stagionali dei fiumi nordici, le cui piene primaverili, susseguenti al disgelo, avvengono tra maggio e giugno, ossia proprio quando si verificano le notti bianche.

Questa chiave di lettura consente finalmente di ricostruire tutto lo svolgimento della battaglia durata due giorni in modo perfettamente logico e coerente, senza le perplessità e le forzature delle attuali interpretazioni, che in nome della “pregiudiziale mediterranea” sono costrette a comprimerla in un giorno soltanto. Addirittura, da un passo dell'Iliade si riesce persino a evincere il nome greco, “amphilyke nyx”, del fenomeno delle notti bianche, tipiche delle regioni situate a ridosso del Circolo polare: è un vero e proprio "fossile linguistico" che l'epos omerico ha fatto sopravvivere allo spostamento degli Achei nel sud dell'Europa, dove le notti bianche ovviamente non si verificano.

Notiamo ancora che, in base alle descrizioni di Omero, le mura di Troia appaiono alla stregua di una rustica palizzata di tronchi e pietre; insomma, più che le poderose fortificazioni micenee, esse ricordano gli arcaici recinti in legno degli insediamenti nordici (tali furono ad esempio le mura del Cremlino fino al XV secolo).

Prendiamo adesso in esame il cosiddetto Catalogo delle navi del II libro dell'Iliade, che riporta l'elenco delle 29 flotte achee partecipanti alla guerra di Troia con i loro comandanti e le località di provenienza: si può verificare che esso si snoda seguendo punto per punto la geografia delle coste baltiche in senso antiorario, a partire dalla Svezia centrale fino alla Finlandia (mentre la stessa sequenza, se la si applica al contesto mediterraneo, diventa confusa e problematica); in tal modo, utilizzando anche le altre notizie fornite dai due poemi, è possibile ricostruire integralmente il mondo degli Achei attorno al mar Baltico, dove, come ci attesta l'archeologia, nel secondo millennio a.C. fioriva una splendida età del bronzo.

Ecco dunque la ragione delle anomalie, geografiche e non, contenute nei poemi omerici: il teatro della guerra di Troia e delle altre vicende della mitologia greca non fu il Mediterraneo, ma il mar Baltico, sede primitiva dei biondi "lunghichiomati" Achei, riguardo ai quali esiste già la tendenza a considerarli provenienti dal settentrione, sulla base di una serie di testimonianze archeologiche raccolte sui siti micenei in Grecia. A tale riguardo il prof. Martin P. Nilsson, eminente studioso ed archeologo svedese, nel suo famoso Homer and Mycenae riporta numerose, e significative, prove che attestano l'origine nordica di quel popolo: ad esempio la presenza, nelle più antiche tombe micenee in Grecia, di grandi quantità di ambra (che invece scarseggia sia nelle sepolture più recenti, sia in quelle minoiche a Creta); l'impronta prettamente nordica della loro architettura (il megaron miceneo "è identico alla sala degli antichi re scandinavi"); la "impressionante somiglianza" di alcune lastre di pietra provenienti da una tomba di Dendra "con i menhir conosciuti dall'età del bronzo dell'Europa centrale"; i crani di tipo nordico trovati nella necropoli di Kalkani e così via. D'altro canto, in certi reperti dell'archeologia scandinava, ed in particolare nelle figure incise sulle lastre del grande tumulo di Kivik, in Svezia, sono state riscontrate rimarchevoli affinità con i modelli dell'arte egea, al punto da indurre qualche studioso del passato ad ipotizzare che quel monumento fosse opera dei Fenici. Inoltre, un significativo indizio della presenza degli Achei nel nord dell'Europa è costituito da un graffito miceneo ritrovato nel complesso megalitico di Stonehenge, in Inghilterra meridionale, insieme con altre tracce, riscontrate dagli archeologi sempre nella stessa area ("cultura del Wessex"), di epoca precedente all'inizio della civiltà micenea in Grecia.

Quanto a Ulisse, di cui Omero ricorda “i biondi capelli” – d’altronde anche Pindaro nella IX ode Nemea menziona i “biondi Danai” – vi sono singolari convergenze tra la sua figura e quella di Ull, guerriero ed arciere della mitologia nordica; inoltre, lungo le coste e le isole del mar di Norvegia troviamo molti suggestivi riscontri alle sue celebri peregrinazioni, che iniziano allorché il nostro eroe, al suo ritorno dalla guerra di Troia, quando sta ormai per arrivare ad Itaca s’imbatte in una tempesta che lo trascina via dal suo mondo abituale. Così egli si ritrova in un “altrove” dove viene coinvolto in una serie di fantastiche avventure, fin quando non raggiunge l’isola Ogigia, che l’indicazione del De facie di Plutarco ci ha consentito di identificare con una delle Faroer, nell’Atlantico settentrionale. Queste avventure, presumibilmente nate da racconti di marinai, rappresentano l’ultimo ricordo di rotte seguite dagli antichi navigatori dell’età del bronzo nordica al di fuori del bacino baltico, nell’Oceano Atlantico (dove scorre il “Fiume Oceano”, ossia la Corrente del Golfo), poi diventate irriconoscibili dopo la trasposizione nel mondo mediterraneo.

Ad esempio, l’isola Eolia, dove regna il “signore dei venti” Eolo Ippotade (“Ippotade” significa “figlio del cavaliere”), è una delle Shetland (forse Yell), dove soffiano venti fortissimi e tuttora vive una pregiata razza di pony; i Ciclopi abitavano sulla costa della Norvegia settentrionale, presso il Tosenfjorden (non a caso, essi ricordano i mitici troll del folklore norvegese); anche i Lestrigoni vivevano sulla costa norvegese, ma ancora più a nord (proprio dove li colloca il Prof. Robert Graves, basandosi sul fatto che, come dice Omero, nella loro terra le giornate estive sono lunghissime); l’isola della maga Circe, dove si riscontrano tipici fenomeni artici, quali il sole di mezzanotte (Od. X, 190-192) e le “danze dell’Aurora” (Od. XII, 3-4), si trovava oltre il circolo polare, verso le isole Lofoten (dunque le magie di Circe, chiamata da Omero “polypharmakos”, “quella dalle molte pozioni”, sono in realtà manifestazioni di un arcaico sciamanismo lappone); Cariddi è il famigerato gorgo chiamato Maelstrom (la descrizione omerica è straordinariamente simile a quella di Edgar Allan Poe nel noto racconto La discesa nel Maelstrom) e, subito dopo, Ulisse sbarca nell’isola Trinachia, che significa “Tridente”: in effetti, davanti al Maelstrom vi è Mosken, un’isola dalla caratteristica silhouette che ricorda un cappello a tre punte. Quanto alle Sirene, si tratta di micidiali scogli e bassifondi che infestano il mare davanti alle Lofoten, pericolosissimi per i naviganti anche a causa della nebbia e delle correnti di marea: se costoro infatti, attratti dall’ingannevole rumore della risacca (“il canto delle sirene”), si avvicinano pensando di trovarsi vicini alla terraferma, rischiano di naufragare sugli scogli (pertanto l’espressione “canto delle sirene” si rivela in realtà una kenning, ossia una sorta di metafora, tipica della poesia nordica). Addio Grecia, addio mare Mediterraneo!

Notiamo che all'epoca in cui sono ambientati i poemi omerici doveva essere ormai prossimo al tracollo un periodo caratterizzato da un clima eccezionalmente caldo, durato per millenni: è accertato infatti che il cosiddetto "optimum climatico post-glaciale", con temperature che nell'Europa del nord furono molto superiori a quelle attuali, raggiunse l'acme verso il 2500 a.C. (fase “atlantica” dell’Olocene) e iniziò a declinare attorno al 2000 (quando comincia la fase “sub-boreale”), fino ad esaurirsi completamente qualche secolo dopo. Fu probabilmente questo il motivo che ad un certo punto indusse gli Achei a trasferirsi nel Mediterraneo (scendendo, forse, per il fiume Dnepr verso il mar Nero, come molti secoli dopo avrebbero fatto i Vichinghi, la cui cultura presenta singolari affinità con quella achea): qui essi diedero origine alla civiltà micenea, notoriamente non autoctona della Grecia, la quale fiorì a partire dal XVI secolo a.C., in buon accordo quindi con le indicazioni climatiche.

I migratori portarono con sé epopee e geografia: attribuirono infatti alle varie località in cui si insediarono gli stessi nomi che avevano lasciato nella patria perduta, di cui perpetuarono il retaggio nei poemi omerici e nella mitologia greca (la quale, se da un lato presenta molti punti di contatto con quella nordica, dall'altro, forse in seguito al crollo della civiltà micenea, avvenuto attorno al XII secolo a.C., ha perso il ricordo della grande migrazione dal settentrione); inoltre ribattezzarono con i corrispondenti nomi baltici anche le altre regioni dell'area mediterranea, quali la Libia, Creta e l'Egitto, generando in tal modo un colossale equivoco geografico che ha spiazzato per millenni tutti gli studiosi. Queste trasposizioni vennero agevolate – anzi, forse, suggerite – da una certa analogia tra la configurazione geografica del Baltico e quella dell'Egeo: basti pensare alla corrispondenza tra Öland ed Eubea, o tra Sjælland e Peloponneso (dove peraltro, come abbiamo visto, dovettero forzare il concetto di "isola"); il fenomeno venne poi consolidato, nel corso dei secoli, dal progressivo affermarsi dei popoli di lingua greca nel bacino del Mediterraneo, a partire dalla civiltà micenea fino all'epoca ellenistico-romana.

Con tale quadro è coerente una perentoria affermazione di un eminente studioso: “La nobiltà degli esametri [di Omero] non dovrebbe trarci in inganno inducendoci a pensare che l’Iliade e l’Odissea siano qualcosa di diverso dai poemi di un’Europa in gran parte barbarica dell’Età del Bronzo o della prima Età del Ferro. Non c'è sangue minoico o asiatico nelle vene delle muse greche: esse si collocano lontano dal mondo cretese-miceneo e a contatto con gli elementi europei di cultura e di lingua greche (…) Alle spalle della Grecia micenea si stende l'Europa" (Stuart Piggott, Europa Antica).

Una straordinaria, e recentissima, conferma archeologica ci viene dal cosiddetto "disco di Nebra" (un villaggio situato 50 km ad ovest di Lipsia, nella Germania orientale) e delle spade, di tipo miceneo, ritrovate nello stesso sito. Il disco di Nebra è un manufatto in bronzo datato al 1600 a.C., circolare (diametro circa 30 cm) con riportati sole, luna e stelle (tra cui si distinguono le sette Pleiadi). Esso è il perfetto pendant dei versi del XVIII libro dell'Iliade in cui Omero illustra le decorazioni astronomiche fatte dal dio fabbro Efesto sullo strato in bronzo posto al centro dello scudo di Achille: "Vi fece la terra, il cielo e il mare,/ l'infaticabile sole e la luna piena,/ e tutti i segni che incoronano il cielo,/ le Pleiadi, le Iadi...". I reperti di Nebra mostrano lo stretto rapporto, per così dire "triangolare", che, attraverso l'archeologia, si può stabilire tra il mondo nordico della prima età del bronzo, quello miceneo (le spade) e quello omerico (lo scudo), a conferma dell’affermazione del Prof. Piggott, grande archeologo e accademico inglese, citata in precedenza.

In conclusione, il reale scenario dell'Iliade e dell'Odissea è identificabile non nel mar Mediterraneo, dove dà adito a innumerevoli incongruenze (il clima sistematicamente freddo e perturbato, le battaglie che proseguono durante la notte, i fiumi che invertono il loro corso, il Peloponneso pianeggiante, eroi biondi intabarrati in pesanti mantelli di lana, isole e popoli introvabili...), ma nel nord dell'Europa. Le saghe che hanno dato origine ai due poemi provengono dal Baltico e dalla Scandinavia, dove nel II millennio a.C. fioriva l'età del bronzo e dove sono tuttora identificabili molti luoghi omerici, fra cui Troia e Itaca; le portarono in Grecia, in seguito al tracollo dell'"optimum climatico", i biondi Achei che nel XVI secolo a.C. fondarono la civiltà micenea: essi ricostruirono nel Mediterraneo il loro mondo originario, in cui si erano svolte la guerra di Troia e le altre vicende della mitologia greca, e perpetuarono di generazione in generazione, trasmettendolo poi alle epoche successive, il ricordo dei tempi eroici e delle gesta compiute dai loro antenati nella patria perduta. La messa per iscritto di questa antichissima tradizione orale, avvenuta in seguito all'introduzione della scrittura alfabetica in Grecia, attorno all'VIII secolo a.C., ha poi portato alla stesura dei due poemi nella forma attuale.

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Notizie sul libro

Il volume "Omero nel Baltico. Le origini nordiche  dell’Odissea e dell’Iliade" (Editore Palombi, V edizione, Roma 2008)  nell'edizione italiana è presentato dalla Prof. Rosa Calzecchi Onesti, nota  studiosa e traduttrice dei poemi omerici. Negli ultimi anni l'autore è stato  più volte invitato a presentare la tesi ivi esposta in varie Università  italiane, quali ad esempio Pavia (quattro volte) e Padova; in particolare, nell'aprile  2005 ha svolto un seminario in due lezioni presso il Dipartimento di Geografia  della Facoltà di Lettere dell'Università "La Sapienza" di Roma, nell'ambito di  un corso, intitolato "Il mare: mito e letteratura", tenuto dal Prof.  Gianfranco Bussoletti, dove "Omero nel Baltico" era indicato fra i testi  d'esame. Il 19 aprile 2007 ha presentato la sua teoria presso la Facoltà di  Scienze della Formazione dell'Università Roma 3.

Nel 2003 il Prof. Edoardo  Sanguineti ha scritto un positivo articolo sulla pagina culturale de  "L'Unità"; un articolo è uscito sul "Manifesto" del 7 maggio 2005; il 28 gennaio 2007 il supplemento culturale del Sole 24 Ore ha dedicato un ampio  articolo alla questione, con la firma del Prof. Piero Boitani, Direttore del  Dipartimento di Letterature Comparate dell'Università di Roma "La Sapienza";  un articolo di Massimo Morello è uscito il 19 gennaio 2008 su "Repubblica".  Nel giugno 2008 è uscito su LIMES, Rivista italiana di geopolitica, un  articolo di tre pagine dedicato all'argomento: si tratta dell'articolo  conclusivo, intitolato "Il vero viaggio dell'uom di multiforme ingegno", del  Quaderno Speciale di LIMES "Partita al Polo". In precedenza, una positiva recensione era uscita sull'accademico "Bollettino della Società Geografica Italiana" a firma del Prof. Claudio Cerreti, Ordinario di Geografia presso l'Università di Roma.

Nel 2002 l'autore ha  presentato la sua tesi nell'ambito di un convegno internazionale  dell'Università di Vancouver, e, successivamente, in un convegno tenutosi nel  novembre 2005 presso il Dipartimento di Filologia Classica dell'Università di  Riga, in Lettonia. Inoltre, i professori del Dipartimento di Filologia  Classica dell'Università russa di Saransk hanno integralmente tradotto il  libro e nel 2004 lo hanno pubblicato in Russia, diffondendolo presso le  Università ed i circoli accademici e culturali. In seguito a ciò, nel dicembre  2004 l'autore è stato invitato a presentare la sua teoria nonchè l'edizione  russa del libro all'Accademia delle Scienze di San Pietroburgo, davanti ad un  folto gruppo di eminenti studiosi. In particolare, la prof. Tatyana  Devyatkina, titolare di Filologia Classica all'Università di Saransk, ha  scritto: "The results of his research can be considered among the greatest  discoveries of the 20th -21st centuries".

Il libro è stato tradotto anche  in inglese e pubblicato nel 2006 in USA da una casa editrice americana con il  titolo "The Baltic Origins of Homer's Epic Tales. The Iliad, the Odyssey, and  the Migration of Myth" ( http://www.innertraditions.com/Product.jmdx?action=displayDetail&id=2068 ). Al riguardo, nel Bard College di New York, nell'ambito  di un corso di alti studi su Omero, nel 2007 sono state tenute varie lezioni  basate sull'edizione inglese del libro, adottato come testo per gli studenti.  Il Prof. William Mullen, del Department of Classics del Bard College, ha  scritto: "It is hard to overstate the impact, both scholarly and imaginative,  of Vinci's compellingly argued thesis.... Scholars will be rethinking  Indo-European studies from the ground up and readers of Homer's epics will  enter fresh realms of delight as they look anew at the world in which Homer's  heroes first breathed and moved". Sempre il Prof. Mullen, con alcuni suoi  allievi, nel mese di giugno 2006 aveva effettuato un viaggio in barca a vela  nel Baltico (v. sito  sito http://vteam06.googlepages.com/ ), seguendo le rotte indicate nel libro, con il finanziamento del  SEA, importante Istituto oceanografico americano. Così pure, "ARION. A Journal  of Humanities and the Classics" dell'Università di Boston nel suo numero di  primavera/estate 2007 ha dedicato un articolo di 35 pagine a questo argomento. Tra le recensioni in USA, vedasi ad esempio il sito  http://www.barnesreview.org:80/html/jan2007lead.html

Nell'agosto 2007 in Finlandia  ha avuto luogo un seminario  scientifico internazionale sull'argomento, i cui Atti sono stati pubblicati a  cura del prof. Giacomo Tripodi dell'Università di Messina.

Inoltre,  l'autore è stato invitato a presentare la sua tesi alla International  Conference on Mediterranean Studies, promossa dallo Athens Institute for  Education and Research, tenutasi ad Atene il 20-23 marzo 2008.

Infine, tra  il 2008 ed il 2009 il libro è stato pubblicato anche in Estonia e in  Svezia (sito http://www.lumio.se/homeros.html ) dove è stato presentato alla Fiera del Libro, "Bokmassan", di  Goteborg.

(Autore: Felice Vinci. Per gentile concessione)

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Appendice 2.


La scoperta della spedizione archeologica guidata da Ballard, che individuò il relitto del Titanic.


di CLAUDIA DI GIORGIO    

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ROMA - Una spedizione sottomarina guidata da Robert Ballard, lo scopritore del relitto del Titanic, ha annunciato oggi di aver individuato nel Mar Nero, a 91 metri di profondità, i resti di un insediamento umano risalente a 7.500 anni fa. Secondo gli archeologi, si tratta della prima, importantissima conferma che quello che ora è un fondale marino un tempo ospitava fattore e villaggi, sommersi di colpo da una gigantesca inondazione che sarebbe all'origine del racconto biblico del Diluvio Universale.

"E' una scoperta incredibile", ha detto Ballard, il cui battello da ricerca, il Northern Horizon, sta operando a circa 12 miglia dalla costa turca. "I manufatti del sito sono chiaramente ben conservati, ci sono travi, rami e utensili di pietra lungo tutta la matrice di fango della struttura".
L'area del sito, di forma rettangolare, per una lunghezza di 4 metri e una larghezza quasi doppia, è stata individuata da "Little Hercules", il robot subacqueo della spedizione, la mattina del nove settembre, vicino ad una valletta marina. Attraverso gli schermi collocati a bordo della nave, gli scienziati hanno visto apparire le rovine di un edificio fatto di canne impastate con fango ed argilla.

"Era la tipica costruzione degli antichi abitanti delle coste del Mar Nero", spiega Fredrik Heibert, l'archeologo che guida la missione, aggiungendo che la "capanna" è collocata in un punto ideale per un insediamento umano: in una valle, lungo le rive di un fiume. Sul "pavimento" della struttura, i ricercatori hanno potuto identificare anche quelli che appaiono come dei frammenti di ceramica, ma non hanno ancora rimosso nulla dal sito. "Stiamo solo fotografando", ha detto Heibert, "e ricostruendo una mappa, in modo da comprendere bene la natura del sito".

Ma che si tratti del prodotto delle mani degli uomini non sembrano esserci dubbi. Uomini del Neolitico, installatisi nella zona quando il Mar Nero era un normale lago d'acqua dolce, completamente separato dal Mediterraneo. Lungo le sue coste, forse prosperò per millenni una civiltà di agricoltori, che costruirono villaggi e fattorie. Finché, 7500 anni fa, la fine dell'ultima era glaciale non segnò il loro destino.

La spedizione Ballard, che è finanziata dal National Geographic, è infatti partita per trovare le prove archeologiche di una teoria propugnata da due geologi della Columbia University, William Ryan e Walter Pitman. Secondo i due studiosi, alla base delle tantissime leggende che parlano di un diluvio universale vi sarebbe un evento reale. Dodicimila anni fa, dice la teoria, il clima terrestre avrebbe iniziato a riscaldarsi, provocando lo scioglimento delle vaste coltri di ghiaccio che ricoprivano l'emisfero settentrionale. La conseguenza fu un veloce innalzamento dei livelli dei mari e degli oceani, che sommersero molte zone abitate.

Nell'area del Mar Nero, gli avvenimenti furono forse ancora più drammatici che altrove. Le acque del Mediterraneo si "gonfiarono" un po' alla volta , spingendosi sempre più verso nord, finché non scavalcarono di colpo la striscia di terra del Bosforo e si abbatterono sul Mar Nero, che si trovava più in basso, con la forza, dicono gli scienziati, "di 200 cascate del Niagara". Il livello del mare si alzò ad un ritmo di 15 centimetri al giorno, e tutto quel che si trovava lungo le coste del lago venne spietatamente travolto. Uomini, case e animali scomparvero sott'acqua, ma il ricordo di quest'immane catastrofe rimase scolpito nella memoria dei sopravvissuti, che lo hanno fatto arrivare fino a noi nel racconto delle vicende di Noè.

(13 settembre 2000)









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